Il diabete è una malattia metabolica cronica caratterizzata da un aumento dei livelli di glucosio (zucchero, ovvero la glicemia) nel sangue, per un deficit della quantità e, spesso, dell’efficacia biologica dell’insulina, l’ormone che controlla la glicemia nel sangue e che viene prodotto dal pancreas.

Il diabete non è una malattia contagiosa: vivere con un diabetico non fa venire il diabete! Il diabete non è una malattia ereditaria, nel senso che, tranne che per poche varietà molto rare (es. diabete monogenico MODY, maturity-onset diabetes of the young) non c’è un passaggio inevitabile della malattia da una generazione ad un’altra. Esiste però una predisposizione familiare, soprattutto in caso di diabete tipo 2, per cui chi ha un diabetico fra i parenti di primo grado (genitori, fratelli) ha un rischio di ammalarsi superiore rispetto a chi non ha parenti diabetici.

Le forme più note di diabete sono due: il diabete di tipo 1 (con assenza di secrezione insulinica) e il diabete di tipo 2, conseguente a ridotta sensibilità all’insulina da parte di fegato, muscolo e tessuto adiposo e/o a una ridotta secrezione di insulina da parte del pancreas.

Nel diabete tipo 1 il pancreas non è in grado di produrre insulina a causa della distruzione delle beta-cellule che sono atte alla produzione di questo ormone. Riguarda circa il 3-5% delle persone affette da diabete e in genere insorge nell’infanzia o nell’adolescenza, ma può manifestarsi anche negli adulti. Il diabete di tipo 1 è dunque caratterizzato da una distruzione beta-cellulare, su base autoimmune o idiopatica, che conduce a un deficit insulinico assoluto.

La causa del diabete tipo 1 è sconosciuta, ma è ormai noto che alla base della malattia ci sia un “sabotaggio” da parte del sistema immunitario nei confronti delle cellule che producono insulina: la patologia si manifesta infatti con la presenza nel sangue di anticorpi diretti contro antigeni presenti a livello delle cellule che producono l’insulina. È per questo motivo che il diabete di tipo 1 viene classificato tra le malattie cosiddette “autoimmuni”, caratterizzate cioè da una reazione del sistema immunitario contro l’organismo stesso. Il danno che il sistema immunitario induce nei confronti delle cellule che producono l’insulina si ritiene possa essere legato a fattori ereditari e/o a fattori ambientali (tra cui l’alimentazione, lo stile di vita, il contatto con specifici virus).

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Nel diabete di tipo 2 le cellule beta del pancreas producono una certa quantità di insulina che però non è sufficiente oppure non funziona: le cellule dell’organismo sono resistenti all’insulina stessa e non rispondo ai segnali inviati da questo ormone, per cui impediscono l’ingresso nelle cellule del glucosio. Quindi i livelli di glucosio nel sangue aumentano, nonostante l’organismo produca dosi sempre maggiori di insulina per mantenere la glicemia sotto controllo. Si instaura così una condizione di insulino-resistenza.

Il diabete di tipo 2 è la forma di diabete più frequente ed è tipico dell’età matura. 

FATTORI DI RISCHIO

I principali fattori di rischio per il diabete 2 sono:

  • STORIA FAMILIARE POSITIVA 
  • OBESITÀ BMI ≥ 30 kg/m
  • SEDENTARIETÀ 
  • IPERTENSIONE ARTERIOSA PA ≥140 mmHg/90mmHg 
  • COLESTEROLO HDL ≤ 35 mg/dl 
  • TRIGLICERIDI ≥ 250 mg/dl 

I segnali di allarme potenzialmente presenti nel diabete 2 sono: 

  • sete intensa e persistente (polidipsia)
  •  frequente necessità di urinare (poliuria) anche la notte (nicturia)
  •  fame intensa (voracità) 
  • frequenti infezioni urinarie (cistite) 
  • disfunzioni sessuali 

La Sindrome Metabolica è un quadro clinico complesso, determinato dalla presenza simultanea di tre condizioni: diabete, pressione alta e obesità. 

Poiché ognuna di queste condizioni, considerate singolarmente, è un fattore di rischio riconosciuto per cuore e vasi sanguigni, la loro combinazione aumenta in modo significativo la probabilità di sviluppare problemi cardiaci, ictus e altri disturbi vascolari. Diabete, pressione alta e obesità sono correlati tra di loro, e sono sempre più comuni nella popolazione a causa di abitudini e stili di vita errati. Questo spiega la larga diffusione della sindrome metabolica, che attualmente interessa una persona adulta su quattro.

A volte la sindrome metabolica viene indicata anche come sindrome da insulino-resistenza, poiché si ritiene che la sua causa principale sia la resistenza delle cellule all’azione dell’insulina.

Altre condizioni che sembrano svolgere un ruolo importante nella comparsa della sindrome metabolica, tuttora oggetto di studi e ricerche, sono:

  • fegato grasso (accumulo di trigliceridi e altri grassi nel fegato)
  • sindrome dell’ovaio policistico (tendenza alla produzione di cisti a livello delle ovaie)
  • calcoli biliari
  • problemi respiratori durante il sonno (come l’apnea notturna)

Fisiologicamente l’insulina stimola la sintesi e la secrezione di leptina.

La leptina è un ormone peptidico di 167 amminoacidi che in larga parte è prodotto dal tessuto adiposo sottocutaneo, ma anche da placenta, ghiandole mammarie, muscolo scheletrico, stomaco, ipofisi.

I suoi livelli nel sangue sono proporzionali alla massa grassa; infatti, le donne hanno valori decisamente più alti rispetto all’uomo a parità di tessuto adiposo. Segue un ritmo di secrezione circadiano con un picco a mezzanotte e può essere stimolata in corrispondenza di un pasto specialmente glucidico.

La più conosciuta funzione della leptina è la regolazione dell’assunzione di cibo:

  • agisce sui neuroni anoressigeni (della sazietà)
  • inibisce i neuroni oressigeni (della fame)

Riveste anche un importante ruolo nella riproduzione: ha un ruolo permissivo nello sviluppo puberale, in particolare nella donna, segnalando all’ipotalamo che c’è disponibilità energetica e che quindi il corpo può procreare.

L’insulina e la leptina agiscono in maniera sinergica nella soppressione della fame: l’insulina è secreta in quantità proporzionali alla ricchezza calorica del pasto e del contenuto glucidico, la leptina è prodotta di conseguenza per potenziare il segnale anoressizzante sull’ipotalamo dell’insulina.

Gli obesi hanno livelli circolanti di leptina più elevati ma una ridotta sensibilità ipotalamica all’azione anoressigena della leptina stessa, un effetto analogo a quello che si osserva nell’insulino-resistenza.

L’iperinsulinemia cronica tipica dell’obesità, del diabete mellito di tipo 2 e della sindrome metabolica, insieme agli alti livelli di leptina, porta a una condizione di resistenza ipotalamica alla leptina in eccesso e ad un aumento della secrezione di citochine infiammatorie. Si assiste all’attivazione immunitaria che peggiora, come in un vortice vizioso, la sensibilità insulinica del tessuto adiposo stesso (fibrosi del tessuto adiposo, riduzione uptake di glucosio) e degli altri tessuti (muscolo, fegato).

La leptina, infatti, svolge anche un’importante funzione a livello immunitario: stimola l’attività dei neutrofili, delle cellule T e della secrezione di citochine infiammatorie utili nella risposta immunitaria e nella difesa da patogeni; riduce inoltre l’attività surrenalica contrastando la secrezione di cortisolo.

La leptina sembra possa promuovere fenomeni di autoimmunità: le donne che hanno livelli più alti di leptina risultano più suscettibili a malattie autoimmuni.

Di contro, la carenza di leptina deprime il sistema immunitario, attiva l’asse surrenalico e inibisce l’asse gonadico e tiroideo.

  1. www.diabete.net

Il diabete di tipo 2: caratteristiche, cause e sintomi

  1. https://www.humanitas.it/malattie/diabete-tipo-1/
  2. https://www.siditalia.it/divulgazione/conoscere-il-diabete#:~:text=Definizione,che%20viene%20prodotto%20dal%20pancreas.
  3. https://www.issalute.it/index.php/la-salute-dalla-a-alla-z-menu/s/sindrome-metabolica
  4. True C, Kirigiti MA, Kievit P, Grove KL, Smith MS. Leptin is not the critical signal for kisspeptin or luteinising hormone restoration during exit from negative energy balance. J Neuroendocrinol. 2011;23(11):1099–1112. doi:10.1111/j.1365-2826.2011.02144.x
  5. Guyenet SJ, Schwartz MW. Clinical review: Regulation of food intake, energy balance, and body fat mass: implications for the pathogenesis and treatment of obesity. J Clin Endocrinol Metab. 2012;97(3):745–755. doi:10.1210/jc.2011-2525